Bound: la recensione di VMAG

Appena terminato l’ultimo livello di Bound, ammetto di avere avuto dei sussulti emotivi come non mi capita troppo spesso. Sussulti dati da un viaggio fatto di colori e musiche, di paure e angoscie, che indirettamente mi hanno fatto apprezzare i movimenti della danza classica di cui io non ne ho mai saputo comprendere l’essenza. Da solo, in camera mia, sulle note che accompagnavano i titoli di coda, come se stessi assistendo ad uno spettacolo, istintivamente ho applaudito. Seguire un racconto narrato in modo così particolare mi ha reso partecipe dello stesso. Mi ha fatto entrare in quel mondo, perchè faccio parte di quella percentuale di persone che vengono colpite profondamente quando dietro ad un lavoro c’è uno studio artistico di questo livello. Perchè anche solo vederlo e sentirlo in movimento mette in circolo un benessere sensoriale. Da come avrete capito, quindi, il lavoro degli sviluppatori polacchi di Plastic e di Santa Monica Studios mi ha impressionato positivamente.

E cos’è che mi ha colpito cosi positivamente? Innanzitutto il modo in cui viene raccontata la storia. Seguirete le paure e le angosce della nostra protagonista attraverso la figura di una ballerina con una maschera in volto. E avrete voi la possibilità di modellare la vostra storia a piacimento, scegliendo quale livello affrontare prima e quale dopo, creando una successione personale che vi farà seguire un racconto volutamente criptico, di cui non tutti apprezzeranno l’eccessiva volatilità, ma di cui tutti sapranno farsi la propria idea nella propria testa. Ogni livello sarà un tassello nuovo da posizionare in questo grande puzzle fatto di ricordi.

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Ogni livello sarà un tassello nuovo da posizionare in questo grande puzzle fatto di ricordi.

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Ma il pezzo forte del gioco è proprio questo. Raccontare una storia attraverso le immagini, bellissime, in cui vi ritroverete in mezzo a questo mondo fatto di figure geometriche e crepe che rimandano a movimenti artistici come il suprematismo, il concretismo e il neoplasticimo. Ogni immagine è arte in movimento, a cui si aggancia un gameplay approcciabile in diversi modi. Potrete prendere Bound come un viaggio breve e intenso e metterci neanche tre ore per finirlo, seguendo dei triangoli umorali posti lungo i livelli come fossero le briciole di Pollicino. O avere un approccio più curioso e scoprire strade segrete che si nascondono in ogni livello.

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La danza è un elemento chiave di Bound.

Di base il gameplay è molto semplice, infinitamente semplice. Un platform in cui non avrete nessuna informazione a schermo: nè contatori di vite, nè armi, nè tempo. Sarete solo voi, il mondo, e la danza, strumento (unico) indispensabile per uscire dalle situazioni di pericolo. Pericoli che poi non saranno neanche mai tali, in quanto risulterà sempre molto semplice divincolarsi dai diversi nemici, siano essi aeroplani di carta o rovi tentacolari. Ma il gioco non è visto per essere competitivo in questo senso, e il divincolarvi dai pericoli con i passi di danza e i nastri risulterà fluido e gradevole da vedersi. L’unico reale modo che avrete di perdere le vostre vite (che poi in realtà non ci sono) sarà quello di cadere dalle alte piattaforme per un salto sbagliato.

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Sarete solo voi, il mondo, e la danza, strumento (unico) indispensabile per uscire dalle situazioni di pericolo.

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E proprio sui bordi delle piattaforme, c’è un impostazione apposita che potrete scegliere. Se rendere il tutto ancora più semplice e mettere dei muri finti, in modo da non cadere dai burroni mentre si sta camminando, oppure toglierli e stare assolutamente attenti a dove si mettono i piedi. In caso di caduta, comunque, il respawn sarà sempre molto vicino. Quello che avrete da fare sarà questo, andare avanti, scegliendo spesso quale possa essere la migliore via percorribile. Spesso infatti avrete nello stesso punto più possibilità di scelta. Se prendere un sentiero più lungo ma più sicuro, o uno più rapido ma più pericoloso. Forse per qualcuno il tutto potrà sembrare semplice e ripetitivo, questo si, ma risulterà sicuramente meno frustrante per chi non ha troppa dimestichezza con il pad.

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Un pò suprematismo, un pò boccia delle chewing gum.

C’è poi la modalità foto, a cui voglio dedicare un parte della recensione. Mi ci sono letteralmente perso, e se anche voi avete un minimo di velleità artistiche, sono sicuro che perderete più tempo nelle impostazioni di questà modalità, che nel gioco in sè. Regolare i fuochi, cambiare i filtri, mettere le cornici giuste, mettere le pose giuste, dare il peso alla foto. Sono andato a controllare. Ho scattato 230 foto, sì, duecentotrenta. Perchè le impostazioni e, soprattutto, il mondo di Bound permettono veramente di farvi diventare dei novelli fotografi, tali da creare bellissimi artwork che hanno un valore artistico oltre il gioco stesso. Una volta ultimato il gioco, invece, per allungarne la longevità (obiettivamente breve) ci pensa la modalità speedrun. Come dice il nome stesso, in questa modalità dovrete riuscire a concludere i diversi livelli del gioco nel minimo tempo possibile. Potrete decidere sia di affrontarne uno per uno, e vedere le prestazioni nel singolo quadro, oppure fare l’intero gioco in un’unica run. Qui si nasconde l’anima più hardcore del titolo, che forse spezza con tutta la poesia raccontata precedente, ma che metterà alla prova chi alla prova vuole essere messo. Ho trovato in questa modalità solo un pò fastidioso il dover rivedere le cutscene della storia.

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Una volta ultimato il gioco, per allungare la longevità ci pensa la modalità speedrun.

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A livello grafico, come precedentemente vi ho fatto capire, siamo su ottimi livelli, soprattutto per la resa stilistica che vi regalerà immagini e paesaggi gradevolissimi alla vista. Anche le animazioni della protagonista sono fluide e perfette, rese così reali grazie all’aiuto di ballerine (Maria Udod) e coreografi (Michał Adam Góral) professionisti. Eccelso senza mezzi termini il comparto audio. Ogni pezzo una gemma, che vi trasporterà e vi accompagnerà amalgamando perfettamente la musica con questo mondo fatto di ricordi e di paure. Se volete ascoltare un brano del compositore Oleg ‘Heinali’ Shpudeiko, vi consiglio di dare un ascolto a qualche suo pezzo.

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La modalità foto permette veramente di far uscire l’estro artistico latente in ognuno di noi.

In conclusione, Bound è un gioco per chi sa apprezzare determinati messaggi raccontati in determinati modi. Non è un gioco che richiede abilità particolari. E’ un gioco che racconta. Racconta una storia. E lo fa con le immagini, i suoni, i movimenti. Lo fa con la danza e il ritmo. Lo fa con un viaggio. E dal ritorno di questo viaggio ne sono rimasto felice, tutto sommato con un buon ricordo. Sarà che non sono più abituato alle sfide, e che molti giochi troppo lunghi e troppo complicati alla fine tendo a non concluderli, però Bound è un titolo che ti fa passare dei momenti piacevoli e che, in più, sa far riflettere. Lo dico: per chi pensa che un videogioco per essere tale debba durare almeno 15 ore e in cui la storia deve essere raccontata imboccati con il cucchiaino, ne può stare alla larga. Per tutti gli altri, un titolo che consiglio assolutamente, da domani, in esclusiva su PlayStation 4.