Pony Island: La recensione di VMAG

Non è facile parlare di Pony Island. In redazione ci riteniamo infatti enormi fan dei Pony e questo prodotto pare approcciare il genere in maniera più che adeguata. Ci sono tracciati da percorrere, steccati da saltare e simpatiche farfalline da soffiare altrove, il tutto teneramente immersi in variopinti ambienti campestri. Certo, giungere a tale idillio non sarà affatto un gioco da ragazzi, tra piccoli problemi di interfaccia, sporadici crash del client e… l’incessante influsso malefico del demone oscuro che regna su quelle terre. Confusi? Pure noi lo siamo un po’ ma d’altra parte Pony Island è proprio così: si presenta in un modo e si rivela tutt’altro. Tutt’ora io non sono sicuro di aver smesso di giocare, ma tant’è. D’altro canto in Pony Island avremo solo marginalmente a che fare con dei pony. Il gioco è infatti il mezzo che un demoniaco sviluppatore utilizza per appropriarsi delle anime degli ignari giocatori. Lo scopo del gioco di fatto è concluderlo… che è un po’ lo scopo di qualunque altro videogame, ma in Pony Island ci dovremo arrivare per vie traverse. Si tratta infatti di un’interazione simulata con lo sviluppatore, che farà di tutto per impedirci di completarlo e ci costringerà a barare per aggirare i suoi crudeli tentativi di fermarci. E accidenti se è crudele! Satana o Daniel Mullins, come preferite voi. Senza considerare che usa dei poveri pony per posare i suoi artigli sulla nostra anima!

 

 

La struttura del gioco non è lineare ed è possibile identificare tre corpi principali perfettamente allacciati e comunicanti tra di loro: quello che balza allo sguardo per primo prevede essenzialmente la nostra interazione con l’interfaccia che ci viene proposta. Letto così vi parrà scontato e non ascrivibile al gameplay di un gioco ed avreste ragione, se non stessimo parlando di Pony Island. L’impianto in questo frangente è molto simile a quello di Her Story: noi, un terminale, mouse e tastiera, tuttavia qui confrontarsi con l’interfaccia non sarà … semplice… e saremo  addirittura chiamati ad armeggiarvi per ripararla ed utilizzarla così per raggiungere ed hackerare il codice della console. Inoltre ci troveremo spesso a battibeccare con disturbanti demoni virtuali che, utilizzando ogni genere di trucco meta-interattivo, tenteranno di farci desistere dal nostro compito. Si tratta di trovate spesso semplici,ma proposte in maniera geniale, che giocheranno con le nostre aspettative e ci strapperanno risate ed esclamazioni di stupore.

Daniel Mullins, con Pony Island, ha scelto quindi di seguire la scia ideale del recente successo indie di Toby Fox, Undertale. Di fatto sono prodotti indipendenti decisamente simili, che fanno dell’ironia e dei riferimenti all’odierna cultura “internettiana” i loro mezzi comunicativi più forti. E poi entrambi amano estendersi oltre lo schermo, prenderti a pugni o solleticarti direttamente sulla poltrona, insomma amano abbattere la quarta parete, ottenendo risultati soddisfacenti e spesso pure inquietanti, che si traducono in numerosi colpi di scena particolarmente azzeccati. Che sia questo il trend indie che ci dobbiamo aspettare replicato pedissequamente nei mesi a venire? Se il tutto è supportato da una scrittura brillante, come in Pony Island, ben venga.

Ecco cosa ci troviamo di fronte appena entrati nel gioco. Il primo obiettivo sarà proprio riparare il tasto “START”

Individuando quindi le debolezze dell’interfaccia di gioco arriveremo dunque al codice, che è possibile hackerare risolvendo un puzzle game interno di difficoltà crescente, ma mai particolarmente elevata. In sostanza dovremo guidare un’icona attraverso una serie di righe e colonne sino ad un traguardo, utilizzando “piastrelle direzionali” per spostarla ed evitare eventuali ostacoli. Sarà possibile così modificare il codice ed aggirare i sadici stratagemmi del demone che reagirà in maniera esilarante cercando a tutti i costi di fermarci. Giostrando il codice potremo dunque accedere al terzo gioco nel gioco,un platform con protagonista finalmente il nostro pony, paradossalmente l’aspetto meno rilevante e riuscito dell’intero prodotto. Inizialmente si tratterà semplicemente di saltare degli ostacoli, ma presto lo sviluppatore ci spedirà contro demonietti sempre più potenti cui potremo far fronte solo hackerando dei power-up per il nostro pony. Sarà così possibile planare più o meno elegantemente con un comodo paio di ali ed eliminare i nemici con un buon vecchio cannone laser.

Ci piacerebbe proprio conoscere chi si è inventato che i pony possono vomitare arcobaleni e non letali raggi laser binari

Ciò che rende Pony Island fresco ed unico in ogni caso non sono queste ultime contaminazioni platform o i puzzle, che risultano un sottotesto banale e forse addirittura tedioso alla lunga, quanto la funzionalità che hanno all’interno dell’esperienza complessiva, sposando perfettamente la fase di interazione con l’interfaccia e legandosi in maniera ideale ai battibecchi con il demoniaco sviluppatore. Sono proprio queste infatti le sezioni, che hanno mantenuto vivo l’interesse durante la nostra prova, riuscendo a proporre e trainare in modo brillante, divertente e anche un po’ inquietante un racconto che di per sé non fa gridare al miracolo per la sua originalità ma, bensì, per il modo in cui è narrato. Se non vivete, come giocatori, solo di parole, allora sappiate che alla lodevole scrittura si affianca un comparto grafico che, per quanto stilizzato e di scarsa rilevanza, si sposa perfettamente con i vari temi del gioco: i background e le animazioni rispecchiano le varie situazioni e riescono a comunicare le emozioni necessarie mentre i profili dei personaggi illustrano il dovuto, ma mai qualcosa in più. Molto più importante il lavoro sull’eccellente sound design che presenta una colonna sonora 8 bit in grado di restituire perfettamente la dicotomia tra le divertente “facciata equina” del gioco e la più oscura lotta con il diavolo in persona.

Per concludere, Pony Island è un titolo sperimentale fuori dagli schemi a cui vale assolutamente la pena dare un’occhiata. Fa dello sfondamento della quarta parete il suo cavallo di battaglia, stuzzicando continuamente l’interesse del giocatore, al contempo proponendo seri sottotesti riguardo alla difficoltà di uno sviluppatore di convogliare e mantenere viva l’attenzione e i riguardi del pubblico e con sottile ironia pure critiche rivolte alla moderna industria del videogioco e la sua avidità. Durante la nostra sessione di gioco abbiamo potuto, almeno idealmente, fare a pezzi le famigerate microtransazioni in-game, intrattenuto una chat con Lucifero e siamo stati pure indotti a credere di avere insultato un amico su Steam. A nostro avviso situazioni simili orchestrate in maniera così brillante, valgono da sole il prezzo del biglietto, che per inciso consiste nella risibile somma di 4,99 euro.  Affrettatevi a rischiare la vostra anima, noi lo abbiamo già fatto e ne siamo usciti pienamente soddisfatti !