Recensione Let It Die

Suda51 colpisce ancora. Il nipponico game designer è una figura nota per la sua eccentricità e stravaganza che si riflette nei suoi giochi e soprattutto nei suoi personaggi, sempre estremamente riconoscibili. Titoli come Lollipop Chainsaw, No More Heroes e Killer is Dead sono rimasti impressi nella mente dei giocatori per la loro follia e stravaganza, oltre comunque a gameplay sempre piuttosto godibili anche se non eccelsi. Noi di VMAG inoltre come sapete siamo studenti di Vigamus Academy, e Suda51 è uno dei docenti che ci ha fatto lezione durante i mesi passati, e possiamo assicurarvi che la sua esuberanza si nota anche nella realtà… ma questo è un altro discorso. Siamo qui infatti per parlarvi di Let It Die, ultima fatica del suo studio Grasshopper Manufacture uscito a sorpresa durante il PlayStation Experience 2016.

Annunciato inizialmente con il nome di Lily Bergamo, il gioco ha subito cambiamenti drastici in fase di sviluppo, tanto da essere rinominato Let It Die durante l’E3 2014. Ma in cosa consiste Let It Die? Dalle varie demo mostrate nelle principali fiere in molti lo hanno etichettato come un Souls-like, ovvero quella tipologia di giochi che riprendono lo stile di combattimento e la difficoltà tipici di Dark Souls. In parte si può concordare con questa definizione, ma il titolo di Suda51 presenta tuttavia diversi elementi che lo rendono unico. Ma procediamo con ordine. Lo scopo principale del gioco è quello di arrivare in cima alla Torre di Barb, un’enorme struttura che si è formata in maniera naturale dopo i numerosi terremoti che hanno devastato il mondo. La Torre è abitata da creature di ogni tipo (umanoidi, robotici etc), e il nostro viaggio inizia impersonando un anonimo corpo collegato a dei tubi in una metropolitana. La scena è piuttosto grottesca, ma ci invia subito un messaggio chiave: non affezionatevi a niente e nessuno in Let It Die, meno che mai al vostro personaggio. All’inizio infatti sarete armati solo delle vostre mutande, e vestiti, armature, armi e così via dovranno essere recuperati dai cadaveri dei vari nemici.

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Ogni volta che si muore infatti dovremo ricominciare con un nuovo personaggio

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L’arsenale a nostra disposizione è piuttosto vasto e variegato, passando da classiche mazze e armi da taglio ad oggetti meno “tradizionali” come gattini esplosivi e ferri da stiro (che ci tengo a precisare sono dannatamente letali). Ogni arma, vestito o equipaggiamento inoltre si usura con il tempo e l’uso, e considerato che la resistenza degli oggetti è piuttosto breve sarete costretti ad arrangiarvi spesso con quello che trovate cambiando continuamente strategia. E’ possibile comunque creare delle armi più resistenti combinando vari materiali presso la base centrale, ma in caso di morte perderete tutto. Ricordate quando vi dicevo di non affezionarvi e niente e nessuno nel gioco? Ogni volta che si muore infatti dovremo ricominciare con un nuovo personaggio, mentre potremo trovare il nostro vecchio alter ego sotto forma di Hater, ovvero un nemico molto più forte rispetto agli altri. E’ possibile trovare anche gli Hater di altri giocatori che sono morti nello stesso punto, e questa è solo una parte del comparto multiplayer asincrono di Let It Die chiamato Tokyo Death Metro. Oltre agli appena accennati Hater possiamo invadere le basi di altri giocatori per rubarne le risorse, mentre al tempo stesso dovremo fortificare la nostra aggiungendo difese e combattenti. Il sistema porta ad un ciclo di vendette non indifferente, tanto che spesso ho tralasciato la storia per concentrarmi sulla distruzione delle basi dei giocatori che mi avevano rubato preziosi materiali.

Forse dovremmo cercare dei pantaloni...
Forse dovremmo cercare dei pantaloni…

Dal punto di vista del gameplay come accennato il gioco può essere definito come un Souls-like, classificandolo quindi come un action con elementi da RPG. Il nostro personaggio dispone di attacchi leggeri e pesanti, oltre naturalmente alla parate e la schivata con capriola, e anche lo schema dei comandi è piuttosto familiare, tuttavia alcune combinazioni risultano leggermente più atipiche (come ad esempio R2+X per ricaricare l’arma destra e L2+X per quella sinistra) e si nota una leggera legnosità nelle animazioni e risposta dei comandi. La difficoltà è piuttosto elevata e non sarà raro sbagliare una schivata e vedere tutti i nostri sforzi andare in fumo… ed è qui che entrano in gioco le meccaniche free-to-play. Let It Die infatti può essere scaricato e giocato da chiunque senza spendere un centesimo, tuttavia utilizzando soldi reali è possibile acquistare delle particolari monete in grado di resuscitarci istantaneamente senza perdere i progressi. Questo sistema tuttavia non è invasivo e non trasforma il gioco in un pay-to-win, infatti essendo il multiplayer asincrono non vi troverete contro giocatori avvantaggiati per aver speso denaro, ma al massimo si può velocizzare la scalata alla Torre di Barb evitando morti improvvise. Ammetto tuttavia che dopo diverse ore la frustrazione nel morire con l’aumentare della difficoltà mi aveva quasi invogliato ad investire qualche soldo, ma si tratta di un discorso personale legato al vostro grado di pazienza.

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Non mancano anche situazioni esilaranti che creano un contrasto tra il grottesco e il comico tipico di Suda.

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Ho trovato il gameplay di Let It DIe comunque piuttosto godibile e appassionante, ma dove il gioco eccelle veramente è nella direzione artistica e caratterizzazione dei personaggi. La cosa non mi ha sorpreso più tanto sapendo che dietro c’era la mente malata (in senso positivo) di Suda51, ma ho notato con piacere come il game designer si sia a tratti superato nella sua follia. La Torre di Barb propone scenari disturbanti con un mix di gore, fantascienza e cultura pop, ma non mancano anche situazioni esilaranti che creano un contrasto tra il grottesco e il comico tipico di Suda. Ad esempio uno dei personaggi principali che ci accompagneranno durante l’avventura è Zio Morte, una versione del tristo mietitore che va in giro con occhialoni psichedelici e skateboard… capite bene come sarà il vostro personaggio preferito passato presente e futuro. Troverete anche altri PNG stravaganti e curiosi come una donna perennemente allucinata da particolari funghi che ci insegna come utilizzarli a nostro vantaggio, e anche il character design di nemici e soprattutto boss è decisamente ispirato. Peccato solo che la Torre di Barb risulti l’elemento più debole dell’esperienza: il gioco ci mette di fronte dei livelli procedurali che cambiano ogni volta, ma alla fine gli asset tendono a ripetersi troppe volte risultando invece fin troppo simili tra loro.

Chi ha detto che non si possono usare i coni della strada come cappello?
Chi ha detto che non si possono usare i coni della strada come cappello?

In conclusione Let It Die è un titolo che mostra il talento di Suda51 nel proporre una direzione artistica e personaggi memorabili, anche se il gameplay risulta leggermente legnoso e può volerci qualche ora prima di abituarsi del tutto. Le meccaniche da free-to-play non sono invasive e vi permettono di giocare il titolo nella sua interezza senza spendere un centesimo, a patto di essere abbastanza pazienti specialmente nelle fasi avanzate dove morire diventa piuttosto frequente. Non posso quindi che consigliare a tutti di provarlo, l’unico “ostacolo” vero alla fine sono i quasi 50 GB che il gioco occuperà sui vostri hard disk… ma in fondo stiamo parlando di un gioco che poteva tranquillamente essere venduto a prezzo pieno e invece viene proposto gratuitamente, per cui non possiamo di certo lamentarci più di tanto.